Ho visto la prima volta Kimberlin in un ristorantino posizionato sul mare della Città Bianca. Mi ha colpita fin da subito: indossava un sorriso smagliante, aveva i capelli raccolti in una coda disordinata e, a testa bassa, puliva del pesce. Una ragazza bellissima da cui tutto ci si può aspettare tranne che vederla impregnarsi le mani di quell'odore tanto sgradevole quanto dignitoso. Kimberlin si è raccontata. Un viaggio iniziato venti anni fa e NON ancora terminato.
Da quando ho memoria porto con me dei ricordi molto tristi che solo ora da adulta so che una bambina per nessuna ragione al mondo dovrebbe mai vivere. Quando mia mamma mi telefonò chiedendomi se volessi trasferirmi in Italia insieme al suo nuovo compagno, le dissi subito di sì. Allo stesso tempo ero molto incuriosita da questa Italia ma non avrei pensato di andare dall’altra parte del mondo lontano dalla mia famiglia.
Più dell’impatto con gli italiani, l’impatto con questa nuova terra è stato molto più forte. Faceva tanto freddo. Ricordo che non volevo assolutamente mettermi le calze ai piedi nonostante continuassi a dire di avere freddo. In Venezuela ero abituata a camminare scalza e qui non potevo più farlo. Quando ho iniziato le scuole elementari ho subito qualche episodio di discriminazione a causa del mio colore della pelle e la forma del mio naso, mi chiamavano scimmia ma non ci ho mai dato tanto peso perché le scimmie sono tanto belle!
Vorrei potermi fermare e dire “Finalmente sei a casa, ti puoi riposare e pensare a cosa vuoi davvero per te stessa”. Sono stanca di dover vivere in base a ciò che i miei documenti m’impongono. Dietro ai problemi burocratici c’è tanta sofferenza legata proprio alle conseguenze che questi mi hanno causato. Come quando sono stata irregolare in territorio italiano. Posso dire con certezza che è stato il momento più brutto della mia vita in cui ho preso scelte sbagliate credendo di non aver altre opzioni. Ero tanto disperata.
Questa disavventura è solo un controsenso. Una volta mi sono presentata in questura a Bari con la valigia, disperata, dicendo “o fate qualcosa per aiutarmi perché non ho una casa dove vivere e non posso lavorare senza i documenti o rimandatemi in Venezuela. La risposta è stata: non possiamo darti l’espatrio perché non hai commesso alcun tipo di crimine e nessuna ragazza come te dovrebbe vivere l’incubo dell’espatrio.” Detto questo però non hanno fatto niente per aiutarmi, mi hanno lasciato in mezzo alla strada. Mi sono rivolta a tanti enti come gli assistenti sociali, o associazioni che si occupano d’immigrazione, ad avvocati di ufficio ma mai nessuno ha mosso un dito. Peggio è stato quando ho iniziato le pratiche per l’asilo politico. Mi sono sentita privata della mia identità. Ore interminabili di attese. In mezzo a tante persone con le quali io non centravo assolutamente nulla. Ho provato lo stesso dolore di tanti profughi che ogni giorno chiedono asilo in Italia. Trattati come animali. Un’esperienza che non auguro a nessuno. Questi corridoi dovrebbero buttarli giù e rifarli da capo ma meglio.
Non è stata una mia scelta essere clandestina, l’hanno deciso loro al mio posto da un giorno all’altro. Mi hanno tolto la libertà di essere la persona che vorrei. Vorrei avere la spensieratezza di chi sta programmando il proprio futuro, o di chi si fa un semplice viaggio all’estero. Ma io non posso. Vorrei solo avere indietro la mia identità e i miei diritti. Chiedo veramente tanto?
Casa mia è l’Italia semplicemente perché sono cresciuta qui e anche se la maggior parte del tempo penso a cosa fare per riprendermi la mia identità e libertà, penso sempre anche a cosa farò una volta che tutta questa storia sarà solo un ricordo. Ho tanti bei progetti che vorrei realizzare a casa mia. In Puglia. La Puglia è davvero uno stato d’animo ed è stata anche una sofferenza lasciarla per trasferirmi a Milano. Spero di poterci tornare molto presto! La Puglia è come il Venezuela. Hanno molto in comune.
Il Venezuela è una terra bellissima ma molto difficile da vivere. Penso che avrei sofferto comunque ma lì avrei avuto vicino la mia famiglia. Quindi non so se l’avrei fatta salire o meno.
Sicuramente il mio futuro lo vedo in Puglia dove un giorno realizzerò uno dei miei progetti. Non ho intenzione di trasferirmi in un posto diverso ma sicuramente quando avrò la possibilità vorrei tanto viaggiare e conoscere nuove terre. Poi chissà, le cose possono sempre cambiare e gli obbiettivi di vita diventare altri.
Disegnerei una bambina sull’altalena. E scriverei : Uno sforzo alla volta, piano, sei una bambina. Più in alto; più in alto griderai. Ma fa attenzione, potresti volare via. Rallenta; rallenta se avrai paura. Non piangere, tornerai a volare, forse via. Ci riproverai, tu lo sai. Sempre più in alto. E se ti stancherai, fermati: non sforzarti, stai tranquilla, riprenderai. E se vorranno darti una spinta, lascia che accada. Ma ricorda, loro non sanno quanto sei leggera. Non sanno quanto sei, bambina. Volevo fare da sola così andai sull’altalena. Ciò significa che non bisogna mai arrendersi e smettere di credere nei propri sogni e soprattutto nella propria persona. Ci saranno sempre ostacoli di qualsiasi genere ma bisogna mantenere quell’aspetto di noi bambini sognatori, liberi e ottimisti. Qualsiasi cosa noi vogliamo essere se ci crederemo per davvero lo diventeremo. Costi quel che costi.
Per chi ha messo in dubbio la veridicità di questa storia, per chi mette in dubbio la sofferenza che ha potuto provare questa donna, per chi è scettico sulla richiesta di aiuto economico sollevata da Kimberlin, consiglio- nonostante NON mi sia stato richiesto- di andare OLTRE la punta del proprio naso. Dietro una bella ragazza, una bella donna, si nascondono storie, fragilità, emozioni, paure,... che NON sempre devono essere rese note. Bisognerebbe, ogni tanto, avere l'intelligenza di andare OLTRE l'apparenza, OLTRE l'aspetto fisico, semplicemente OLTRE.