Il mio percorso è stato in generale abbastanza lontano da quello che si definirebbe un percorso di crescita canonico. Ho sempre amato viaggiare sin da quando ero piccola e sono sempre stata una persona molto curiosa questo credo mi abbia spinta a voler conoscere in un certo senso il mondo e uscire da quelle che erano le dinamiche di un paese un po’ più piccolo. Spinta forse anche dalla voglia di fare, di crescere e di costruire la mia strada, cucirla io addosso a me come fosse un vestito, e NON indossare un vestito che ci si aspettava indossassi. La Roberta bambina era sicuramente più timida e introversa, ma il fatto di essere lontana da casa mi ha permesso di farmi forza e affrontare anche i momenti più imbarazzanti, di vincere la timidezza, di imparare a cavarmela da me. Forse mi ha resa un po’ più dura in un certo modo, con una corazza un po’ più spessa.
Le mie scelte sono state abbastanza discordanti in un certo senso, ma hanno sempre rispecchiato le mie passioni e la mia curiosità. Le lingue credo siano state una scelta dettata dalla curiosità verso il viaggio e la voglia di comunicare, e se vogliamo anche la cucina lo è stato: il perseguire di una passione, la voglia di comunicare delle storie, dei sentimenti, e un po’ anche la voglia di ritrovare e riconciliarmi con le mie radici.
Le passioni da sole non bastano, a me per conciliarle è servita buona volontà, sacrifici e impegno per imparare in poco tempo ciò che normalmente si apprende in anni, e la fortuna di incontrare persone che credono in te e ti danno la possibilità e la fiducia di provare. Da laureata in Mediazione prima e Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale poi, sono andata a vivere a Pechino, dove ho fatto diversi lavori, finché il mio datore di lavoro non mi ha proposto di avviare insieme un Training Center di cucina italiana per cinesi…e così è iniziato tutto.
Penso di essere cresciuta molto. Tante volte ho pensato di aver sbagliato quando mi trovavo in difficoltà, pensavo “se fossi rimasta in Italia sarebbe stato più semplice”, “se non fossi partita così giovane forse avrei fatto carriera in Italia e magari il lavoro mi avrebbe comunque portata a viaggiare”. Poi però maturando e imparando a osservarmi dall’esterno ho capito che in realtà ho fatto una scelta giusta per me perché mi ha permesso di crescere, di esprimermi come meglio sapevo, di farmi conoscere fuori dagli schemi che ci vengono imposti e per quella che ero realmente, da zero.
Sono cresciuta perché ho imparato a cavarmela da sola in tante situazioni, a fare affidamento su me stessa, a scegliere le persone di cui circondarsi, perché quando sei lontano da casa gli amici sono la famiglia che scegli di avere, con cui condividi i momenti felici e tristi. Sono cresciuta perché ho potuto lavorare pensando che se ti impegni, se ce la metti tutta, puoi fare il lavoro che ti piace e realizzare i tuoi sogni; con sacrifici, impegno e anche sofferenza, ma puoi realizzare anche delle cose che non avresti mai pensato. E anche ora, tornando a casa, sto imparando e sto crescendo. Finora ho sempre dato quasi per scontate le esperienze fatte, ma sto imparando ad apprezzare ogni passaggio, ogni vittoria e ogni lacrima versata, ogni goccia di sudore e ogni sorriso.
Mi ha sempre colpita un discorso fatto dall’ex Ambasciatore d’Italia a Pechino, il Sig. Ettore Sequi, che affermava che le donne dovevano sempre dimostrare il doppio per essere considerate alla pari degli uomini sul lavoro e nella vita.
Non ci avevo mai pensato fino a qualche anno fa, ma in effetti è stato così: nello sport devi dimostrare di essere più forte, più tenace; nel lavoro più concentrata, più resistente. Tuttavia, devo dire di non aver mai sofferto particolarmente questo tipo di rivalità perché sono sempre stata molto severa con me stessa e molto testarda nel raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissata.
Queste due caratteristiche, che ritenevo fossero difetti, credo mi abbiano dato la forza per concentrarmi sul mio cammino senza considerare le rivalità, anzi considerare tutti i confronti come costruttivi e come una possibilità per imparare e crescere, rimanendo sempre umili. Per me essere una executive chef è importante perché vuol dire che c’è qualcuno che si fida di me, è il riconoscimento di un mio percorso di crescita, e la possibilità di esprimermi, di raccontare attraverso i piatti, attraverso gli allestimenti, quello che mi frulla per la testa, i miei pensieri, e il mio modo di essere.
Molto. Ho iniziato prima di tutto a cucinare per me stessa e per i miei amici piatti che mi ricordassero un po’ casa, le tradizioni della mia famiglia, le domeniche tutti insieme a casa di nonna. Quindi sin da subito i miei piatti avevano molto di casa, molto della mia famiglia e molto della mia amata Puglia (credo che tutti i pugliesi che vanno via abbiano un po’ un rapporto di amore e odio con questa terra meravigliosa). Tra le ricette che mi chiedevano di più all’inizio nei corsi di cucina c’erano piatti rappresentativi italiani in generale, e quindi pasta, pizza, tiramisù, ma quando potevo scegliere io il taglio delle ricette, la pizza diventava focaccia pugliese, i tarallini sono diventati un must, e una volta in una competizione televisiva ho presentato (e vinto la puntata) con il nostro riso, patate e cozze.
Credo poi che la cucina sia anche curiosità, quindi ho sempre voluto assaggiare piatti diversi, amo la cucina cinese in tutte le sue diverse espressioni (completamente diversa dagli esempi di cucina cinese a cui siamo abituati qui in Italia, anche se a Milano negli ultimi anni ci sono delle realtà stupefacenti). Questa curiosità per i nuovi gusti e i nuovi ingredienti, mi ha permesso di fare accostamenti anche meno convenzionali. Ritengo che cucina sia convivialità, un tema quasi scontato per noi Italiani, e pugliesi nello specifico, quindi questo aspetto della mia “pugliesità” è sempre emerso negli eventi che ho fatto sia in pubblico che in privato, nelle cene con gli amici italiani, cinesi, e internazionali.
Penso che tale affermazione fosse vera in passato. Proprio perché in passato le donne dovevano accudire la casa, cucinare per la famiglia, quindi era visto come un obbligo sociale; mentre gli uomini che decidevano di cucinare lo facevano per passione e quindi curavano ogni dettaglio.
Ritengo che la situazione sia parzialmente cambiata: probabilmente la cucina in ambito familiare viene ancora visto (soprattutto in Italia) come un “compito” femminile, anche se nella gestione moderna della casa molti uomini cucinano, e nei ristoranti, sempre più donne scelgono di farlo come mestiere.
La donna, quella che sceglie di farlo come lavoro, non si tira indietro davanti alla fatica, è sensibile e attenta a tutti i dettagli, credo che anche per questo sempre più chef donna abbiano preso la scena. Abbiamo delle donne chef incredibili! Creative, geniali, in grado di gestire brigate e farsi rispettare, un connubio tra determinazione e dolcezza, attenzione ai dettagli e sofisticatezza, credo che in Italia ci siano degli esempi di chef donna molto molto motivanti.
Io ho avuto una brigata tutta femminile. La mia squadra a Pechino era composta da 5 donne, tutte di età diverse, tutte cinesi (tranne me ovviamente) con background culturali e sociali differenti, ma pronte a lavorare insieme, a comprendersi, a scontrarsi e a migliorarsi. Ho avuto fortuna a trovare un gruppo così, delle donne che mi hanno seguita in tutte le mie “follie”, che hanno lavorato con me senza sosta e senza orari per arrivare agli obiettivi che di volta in volta ponevo, un gradino sempre più alto. Qualcuno potrebbe pensare che un gruppo di sole donne potrebbe essere soggetto a invidie, a umori.
Non credo sia così se si hanno gli stessi obiettivi, se c’è stima e fiducia reciproca e si impara a volersi bene. Per noi è stato un po’ così, si è creato un gruppo di sorelle, di amiche, pronte ad aiutarsi e sostenersi, a guardarsi negli occhi e dirsi ciò che si pensa, a capire i momenti no, a gioire insieme, ad accettare i pregi ma soprattutto i difetti, come in ogni famiglia. Mi piacerebbe molto poter avere un gruppo così anche qui in futuro, certamente! E un gruppo interculturale in generale credo sia sempre un plus perché porta sempre una visione differente, un’esperienza differente, che non può che arricchire il gruppo.
Così di primo impatto, la prima idea che mi è venuta in mente è stato un piatto di pasta! Pensavo inizialmente a delle orecchiette, una scelta molto pugliese, ma invece no, ho cambiato idea e ora vi spiego il perché! Dedicherei degli spaghetti alla chitarra cacio e pepe. Potrebbe sembrare una scelta banale, e lontana dalle mie esperienze, invece le racchiude tutte: spaghetti alla chitarra impastati con semola di Senatore cappelli, con pecorino romano, pepe nero e pepe del Sichuan tostati.
Così, in un unico piatto facciamo insieme il viaggio della mia vita, partendo dalle mie origini pugliesi con la pasta fresca di Senatore Cappelli, che emana un profumo speciale già mentre siamo lì sul tavolo a impastare; e l’aggiunta del pepe del Sichuan, come amore per le spezie e rappresentativo della mia vita in Cina che mi ha dato tanto e mi ha fatta diventare la donna che sono. Con questo piatto, apparentemente così semplice, auguro a tutte le donne di poter viaggiare, di poter sognare, di potersi esprimere liberamente, di seguire i propri sogni sempre, di diventare grandi portando sempre con sé le proprie radici e il proprio fagotto culturale.
Forse, una delle domande che ultimamente mi hanno fatto più spesso e che non mi è stata fatta in questa sede, è “perché se la Cina ha fatto così tanto per te, sei tornata in Italia?”; oppure eventuali programmi e sogni per il futuro, ma qui posso già rispondere che non lo so. O meglio, per essere più precisa, ho dei sogni e delle idee, legate alla convivialità, all’accoglienza, alla tradizione, che però non so quando e se potrò realizzarli, quindi intanto continuo a sognare e lavorare per ottenerlo, un passettino alla volta, con costanza e impegno, cercando anche di capire cosa si può ottenere nonostante le restrizioni dovute al periodo storico.