In questo periodo di pandemia oltre ad aver assistito a un cambiamento drastico delle nostre abitudini di vita, abbiamo dovuto fare “amicizia” con un uso sproposito del computer. Attraverso questo strumento, in molti, oltre a lavorarci, a studiare e a vedersi con gli amici, hanno sostenuto dei colloqui di lavoro. Nulla di strano starete pensando e sarebbe così se, durante questi colloqui, il possibile futuro datore di lavoro NON avesse avanzato richieste “particolari” ad una candidata. Sono stati molti i casi in cui, durante il colloquio, alcune donne si sono sentite dire frasi come: “Può sbottonare un po' di più la camicia?” piuttosto che “È una donna molto affascinante, può mettersi in piedi e farmi vedere le gambe?”. Molte donne, non convinte della tipologia del colloquio, hanno denunciato.
La risposta a questo interrogativo ci arriva direttamente dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 43164 del 21 settembre 2017, fa chiarezza sul tipo di reato che si configura a seguito di richieste inappropriate rispetto a quelle canoniche di un colloquio di lavoro. La Cassazione distingue tra:
Per la sussistenza del reato, è necessaria la “connotazione esplicitamente sessuale delle richieste”.
I pregiudizi contro le donne hanno la pelle dura. Ancora oggi, quando una donna subisce violenze sessuali, viene il sospetto che, in fondo, possa essere anche colpa sua.
Michela Marzano
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